di Angelica Commisso
(Estratto da “L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri – 28.10.2022)
Il principio della presunzione d’innocenza, previsto dall’art. 27, 2° co. Cost., impone
all’accusa di fornire la prova della responsabilità dell’imputato, fugando “ogni ragionevole
dubbio” riguardante la possibilità di ricostruzioni alternative dei fatti. L’oltre ogni
ragionevole dubbio deve costituire la regola probatoria e di giudizio nel processo penale,
indispensabile per assicurare la protezione degli innocenti ed il rispetto dei fondamenti
costituzionali dello Stato, trovando riscontro positivo negli artt. 2, 3, comma 1, 25, comma
2, 27, Cost., costituendo così diritto vigente nel nostro paese. Con la previsione della regola
per la quale il Giudice pro-nuncia sentenza di condanna solo se l’imputato risulta colpevole
del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio, il Legislatore ha formalizzato un
principio già acquisito in tema di condizioni per la condanna, stante la preesistente regola, di
cui all’ art. 530, co. 2, c.p.p. , per la quale in caso di insufficienza o contraddittorietà della
prova l’imputato va assolto. Quindi, l’accertamento della responsabilità penale si basa sul
principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, che rap-presenta il limite alla libertà di
convincimento del giudice, apprestato dall’ordinamento per evitare che l’esito del processo
sia rimesso ad apprezzamenti discrezionali, soggettivi e confinanti con l’arbitrio: si tratta di
un principio che permea l’intero ordinamento processuale e che trova saliente espressione
nelle garanzie fondamentali inerenti al processo penale, quali la presunzione di innocenza
dell’imputato, l’onere della prova a carico dell’accusa, l’enunciazione del principio in dubbio
pro reo e l’obbligo di motivazione e giustificazione razionale della decisione a norma degli
artt. 111, co. 6, Cost. e 192, co. 1, c.p.p.. La modifica dell’art. 533 c.p.p. ad opera dell’art. 5
della legge 20.2.2006 n. 46 ha carattere meramente descrittivo più che sostanziale e
riconosce al Giudice una discrezionalità che solo l’operare dell’accusa e della difesa con-
sente di arginare, quindi le contrapposte tesi. Il Legislatore non ha introdotto un diverso e
più rigoroso criterio di valutazione della prova, ma ha formalizzato un principio già
acquisito, ossia la condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità
dell’impor-tato: “colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio”. L’art. 442 del
“Regolamento di procedura criminale” del 5 novembre 1831 di Papa Gregorio XVI si pone
come precursore dell’odierno principio, statuendo che: «il Giudice è tenuto a rispondere
secondo l’intima convinzione della propria coscienza, e secondo l’impressione ricevuta
dalla sua ragione presso le prove o gl’indizi, […], dalla riunione dei quali deve
essenzialmente dipendere la pienezza o sufficienza della certezza morale che rimuove dal di
lui animo ogni ragionevole esitazione » (MITTERMA-IER, ne “Il processo orale,
accusatorio e per giurati secondo le varie legislazioni “(1845), trad. it., ReggioMo-dena,
1851, p. 133, richiama il dettato Papale esplicandolo nel dettato “ogni ragionevole dubbio”).
«Nei casi dubbi si decida per il giusto» scriveva Karl Kraus o ancora, Francesco Mario
Pagano, giurista napoletano del primo ’800, che ne “Logica de’ probabili”, citava in
epigrafe un passo della Retorica di Aristotele, ove si diceva che il miglior modo di decidere
le controversie è che «non basta confutare un argomento perché non è necessario ma si deve
confutarlo perché non è verosimile» Il principio in parola, quindi, non è un novum nel
panorama giuridico. L’onere probatorio di dimostrare la colpevolezza dell’imputato grava
sulla Pubblica accusa che deve provare la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio,
mentre all’imputato è sufficiente insinuare il dubbio ragionevole, al fine di veder dichiarata
la sua innocenza. Il sistema processuale penale, dunque, è esso stesso a struttura
asimmetrica, poiché volto ad assicurare un ambito di tutela anzitutto e prioritariamente a
colui il quale sia sottoposto ad un’accusa. Di conseguenza, si è affermato, ancora, che il
principio costituzionale del contraddittorio non rappresenta una “risorsa” dispensata alle
parti allo stesso modo e con la stessa intensità, come dimostra la formulazione dell’art. 111
Cost., comma 5, che prevede il consenso dell’imputato, e non di altri, per la “perdita” di
contraddittorio nei casi consentiti dalla legge. Ciò lascia intendere che la garanzia del
contraddittorio nasce e si sviluppa come garanzia in favore dell’imputato entro limiti di
complessiva ragionevolezza rispetto agli altri valori costituzionali in gioco, con il principio
di parità delle parti e con l’ottica del giusto processo. Il giudice penale deve giungere
all’unica ricostruzione fattuale realmente ragionevole, poiché altrimenti permane lo spazio
per una “ragionevolezza” contraria, ovvero il “ragionevole” dubbio, dovendosi invece
pervenire a un accertamento qualificabile, appunto, «come l’unico ricostruibile al di là di
ogni ragionevole dubbio». Quando il dato probatorio acquisito lascia fuori solo eventualità
remote, formulabili e prospettabili, ma la cui realizzazione nella fattispecie concreta non
trova il benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, il Giudice è legittimato a
pronunciare condanna. Nessuna prova è in grado di eliminare il dubbio, ma se quel dubbio
non appare ragionevole, allora si può provare quella colpevolezza. Il criterio in esame
descrive un atteggiamento valutativo imprescindibile, che deve guidare il giudice nell’analisi
degli indizi secondo un obiettivo di lettura finale ed unita-ria, vivificato proprio dalla soglia
di convincimento richiesto. Per la sua immediata derivazione dal principio della presunzione
di innocenza, esplica i suoi effetti conformativi non solo sull’applicazione delle regole di
giudizio, ma anche, e più in generale, sui metodi di accertamento del fatto, imponendo
protocolli logici del tutto diversi in tema di valutazione delle prove e delle contrapposte
ipotesi ricostruttive in ordine alla fondatezza del tema d’accusa: la certezza della
colpevolezza per la pronuncia di condanna, il dubbio originato dalla mera plausibilità
processuale di una ricostruzione alternativa del fatto per l’assoluzione. Un criterio che non
lascia spazio alla verosimiglianza e plausibilità, insufficienti all’affermazione di
responsabilità. Una volta acquisite le prove il Giudice dovrà valutarle. L’accertamento del
fatto acquisito con metodo scientifico attribuisce al Giudice un ruolo di “controllore attivo”
del metodo seguito dall’esperto. Il Giudice, che riveste ruolo centrale del potere valutativo
discrezionale, deve persuadersi che le prove raccolte col metodo scientifico (verificato e
verificabile) siano idonee al convincimento circa la colpevolezza dell’imputato avendo il
potere, comunque, di disattendere le conclusioni della prova tecnica stessa. L’assunzione
della prova raccolta col metodo scientifico deve essere immune da vizi formali e sostanziali
per l’utilizzabilità nel procedimento decisorio. Si pensi alla condanna all’ergastolo di
Massimo Bossetti quale omicida di Yara Gambirasio che poggia sull’attribuzione o
esclusione del DNA della traccia all’imputato, il cui accertamento è avvenuto ad opera di
esperti alle dipendenze di PM in quanto ignoto era, al momento dell’accertamento, l’autore.
In altri termini un controllo del dato scientifico affidato esclusivamente all’accusa e non
consentito all’imputato. Ecco che la discrezionalità decisoria del Giudice poggia su una base
di indeterminatezza valutativa arginata dalle opposte tesi dell’accusa e difesa e dalle
ricostruzioni del fatto ad opera delle parti avverse che deve avvenire – per come statuisce la
Costituzione – con posizioni di parità. Le Sezioni Unite, in particolare e tra l’altro, hanno
segna-lato come la previsione dei diritti fondamentali dell’equo processo, così come
delineati non solo dalla nostra Costituzione (artt. 25,27 e 111), ma anche dalla Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea (artt. 47 e 48) e dalla CEDU (art. 6), si traduce
nella creazione di una vasta area di garanzia dei diritti e delle facoltà della persona
sottoposta ad un procedimento penale. L’asimmetrica incidenza del principio del
ragionevole dubbio, operante in favore del solo imputato, discende dalla scelta del nostro
ordinamento costituzionale di delineare il processo penale come strumento di accertamento
della colpevolezza e non dell’innocenza. Ecco che i metodi per l’accertamento del fatto
assumo-no un ruolo fondamentale per la valutazione degli esiti ricostruttivi del fatto che si
intende giudicare Quindi la previsione normativa della regola di giudizio dell'”al di là di
ogni ragionevole dubbio”, trova fonda-mento nel principio costituzionale della presunzione
di innocenza, codificando il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di
condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell’imputato. Non si
tratta, in buona sostanza, di un principio innovati-vo o “rivoluzionario”, ma della mera
formalizzazione, con carattere ricognitivo, di una regola di giudizio già presente
nell’esperienza giudiziaria del nostro Paese e, peraltro, già positivizzata. Solo il dubbio
“ragionevole” può fondare una decisione che neghi la colpevolezza dell’imputato. Il
«dubbio ragionevole» è quello che sussistendo preclude che si possa ritenere raggiunta una
conoscenza processuale “vera”, per cui o tale dubbio viene superato (“al di là di ogni
ragionevole dubbio”) o in caso contrario, non potendosi ritenere raggiunta alcuna “vera”
conoscenza processuale, la sentenza, stante il principio in dubio pro reo, non potrà che
essere una sentenza assolutoria.
Quando in concreto il dubbio “è ragionevole” e quando “non è ragionevole”. Può ritenersi
dimostrata (verificata) una tesi processuale e falsificata la tesi processuale contrapposta, nel
senso che all’avvenuta dimostrazione della tesi e alla contestuale falsificazione della tesi
contraria, corrisponde il “dubbio non ragionevole”, mentre alla tesi non adeguatamente
dimostrata e/o alla tesi contrapposta non adeguatamente falsificata, corrisponde il “dubbio
ragionevole”. La consacrazione del principio è conquista di civiltà giuridica, che va sempre
e comunque tutelata in quanto espressione di fondamentali valori costituzionali, coagulati
attorno al ruolo centrale della persona nell’ordinamento giuridico, alla cui tutela è anche
funzionale, in ambito processuale, il principio della presunzione di innocenza sino ad
accertamento definitivo, di cui all’art. 27, comma 2, della Carta Costituzionale. Il principio
dell’oltre ogni ragionevole dubbio è l’equivalente della formula anglosassone riassunta nel
noto acronimo B.A.R.D.: Beyond Any Reasonable Doubt che trova applicazione piena nel
processo statunitense fondato sulla presenza della Giuria che assume un ruolo centrale, ove
il Giudice è chiamato a spiegare la struttura della formula ed il corretto uso. La formula
compare per la prima volta nella nota decisione In re Winship, 397 U.S. 358 (1970), ove la
Corte Suprema degli Stati Uniti, il massimo organo giurisdizionale statunitense, ha stabilito
che quando un minorenne è accusato di una condotta che costituirebbe reato se commessa
da un maggiorenne, per poter-si addivenire ad una sen-tenza di condanna ogni elemento del
fatto deve essere provato oltre ogni ragionevole dubbio. L’applicazione del principio ha
portato all’assoluzione di O.J Simpson – celebre ex giocatore di football americano –
dall’accusa di omicidio dell’ex moglie Nicole Brown Simpson e del cameriere Ronald Lyle
Goldman, avvenuto il 12 giugno 1994. Le risultanze processuali fondate prevalentemente su
prove acquisite “a senso unico” dalla pubblica accusa ha consentito alla giuria di assolvere
l’imputato, in quanto sussistente un “ragionevole dubbio” sulla propria responsabilità. Nel
processo, il giudice ha così definito il ragionevole dubbio: «Non è un mero dubbio possibile,
perché qualsiasi cosa si riferisca agli affari umani è aperta a qualche dubbio possibile o
immaginario. È quella situa-zione che, dopo tutte le considerazioni, dopo tutti i rap-porti
sulle prove, lascia la mente dei giurati nella condizione in cui non possono dire di provare
una convinzione incrollabile sulla verità dell’accusa» (DERSHOWITZ, Dubbi ragionevoli.
Il sistema della giustizia penale e il caso O.J. Simpson,cit., 64 ss.) Simpson, una volta
assolto dal processo penale, è stato condannato dalla Corte Civile al pagamento di una
somma milionaria alle famiglie Brown e Goldman – che han-no tentato una causa di
risarcimento ai suoi danni – in forza del principio del “più probabile che non” alla base della
giustizia civile americana. Il controllo sulla decisione della giuria nel processo penale
statunitense è un controllo “di diritto” poggiante sulle istruzioni che il Giudicante offre ai
giurati circa l’esegesi della formula “ragionevole dubbio”. Quindi negli USA detto principio
rappresenta lo standard probatorio di un processo. Sostanzialmente diversa l’applicazione
sostanziale della formula dell’”oltre ogni ragionevole dubbio” nel processo penale italiano
che si conclude con una sentenza di un Organo Giudicante che poggia sulla esposizione
coincisa di motivi di fatto e diritto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione delle
prove e delle ragioni, giusto art. 546 lett. e c.p.p. la formula può senz’altro esercitare
l’effetto di “disarmare” quei giudici pro-pensi a condannare con facilità e disinvoltura gli
imputati, anche senza la piena prova della colpevolezza. Ma, simmetricamente, la clausola
vuole anche sottolinea-re che, se la colpevolezza è sorretta da un solido e coerente quadro
probatorio, il riconoscimento della fallibilità degli accertamenti non può certo, impedirne la
condanna. Esiste, tuttavia, una soglia, non determinabile con precisione, oltre la quale non
sarebbe ragionevole dubitare della colpevolezza.