di Enzo Nobile
(Estratto da “L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri – 28.10.2022)
Karl Popper, contrapponendosi al positivismo logico, è stato uno dei maggiori esponenti del
metodo epistemologico moderno. Egli, infatti, sosteneva come non fosse possibile fondare
la validità della scienza a mezzo dell’unico criterio della controllabilità empirica ma secondo
lui, invece, bisogna-va procedere per congetture e confutazioni, quindi senza essere in grado
di giungere ad una verità completa, ma solo ad un sapere temporaneo e in continua
evoluzione. Infatti, per lui, anche una teoria già falsificata poteva es-sere nuovamente
falsificabile perché una teoria smentita
dall’esperienza era de-finitiva dal punto di vista logico ma non, anche, da quello concreto e
metodologico. Da ciò conseguiva che una teoria che fosse stata confutata non doveva essere
immediatamente eliminata dal campo scientifico, ma questo poteva avvenire solo nel
momento in cui non se ne trovava una migliore. In sostanza per Popper la validità di una
teoria scientifica non poteva essere ricondotta all’esperienza ma ai problemi, perché era dai
problemi che scaturivano le ipotesi che dovevano essere verificate scientificamente.
E, proprio, in virtù di ciò Popper partiva dal presupposto che la linea di demarcazione tra
scienza e non scienza fosse individuabile nel criterio di falsificabilità, anziché essere
verificata all’esperienza sulla scorta di un numero infinito di dati e di casi, oggi tipica della
c.d. giustizia predittiva che prevede il possibile esito di una controversia sulla base delle
precedenti soluzioni date a casi analoghi o simili esaminati con l’utilizzo di algoritmi. In
realtà Popper, tenuto conto che ci troviamo nel campo delle possibilità in quanto è possibile
trovare in un enunciato un conflitto con un eventuale osservazione, considerava scientifica
una teoria nella misura in cui veniva smentita dall’esperienza. Quindi, più sono i
falsificatori possibili di una teoria più questa è scientifica. Però per Popper la metafisica
poteva essere considerata vera, al contrario di ciò che affermava il positivismo, per-ché
alcune teorie scientifiche sono collegate alle teorie metafisiche. Ciò, ovviamente, non
significa che un’idea una volta trovata non debba essere provata, però quell’idea consente di
procedere alla verifica di falsificazione secondo cui una teoria è scientifica nella misura in
cui può essere smentita, senza operare alcuna distinzione tra significanza scientifica e
insignificanza non scientifica, a differenza del positivismo che dà per vero ciò che è
scientifico e per falso ciò che non lo è. Quindi, secondo Popper non esiste un metodo per
trovare le teorie ma esiste un metodo per controllarle e per tale controllo, considerato che la
verità non può dirsi raggiunta perché si hanno molteplici conferme all’attività di veri-fica
mentre, è sufficiente un solo fatto negativo per confutarla. Dunque il criterio di
falsificabilità è una linea di demarcazione che differenzia, all’interno di ciò che ha senso, le
teorie scientifiche e quelle non scientifiche. E, a ben vedere, il pensiero popperiano è stato
mutuato dal nostro diritto positivo. Basti considerare che il processo è uno strumento di
conoscenza intesa non già in termini di episteme, bensì in termini relativi, ovvero come una
conoscenza non certa ma altamente probabile e come tale caratterizzata da un margine di
dubbio ineliminabile. In tale ottica il metodo conoscitivo deve essere caratterizzato e
finalizzato non solo alla dimostrazione della tesi ritenuta vera, ma anche e soprattutto alla
falsificazione delle tesi alternative e ciò ci riconduce al principio di falsificazione di Karl
Popper. In tale prospettiva il principio di falsificazione, se rettamente inteso ed applicato, fa
sì che il dubbio che, inevitabilmente, accompagna ogni forma di conoscenza umana,
nell’accertamento processuale possa essere confinato en-tro limiti epistemologicamente
accettabili e tali da individuare correttamente il limite del c.d. ragionevole dubbio.
Quindi il principio di falsificazione nella prospettiva del diritto positivo si estrinseca nella
dimensione sostanziale e nella dimensione strumentale, intendendo con il primo termine la
valutazione del materiale probatorio in termini di dimostrazione della tesi ritenuta vera e
falsificazione della tesi alternativa, e con il secondo l’acquisizione della prova tramite il
principio del contraddittorio ed il principio della prova contraria (c.d. processo aperto). Le
due accezioni sono per l’appunto strettamente connesse nel senso che se la conoscenza si
estrinseca nella dimostrazione della tesi ritenuta vera e nella falsificazione della tesi
alternativa, tale risultato lo si può raggiungere se, e solo se, si struttura lo strumento
conoscitivo (processo) in maniera tale da garantire la falsificazione dei singoli elementi di
prova che costituiscono il dato reale della conoscenza processuale. Pertanto, il metodo
avversativo della confutazione (considerato che, nell’uso di ogni tipo di inferenza, fa
operare sempre il tentativo di smentita) è diventato speculare al procedimento probatorio e,
come tale, è strettamente le-gato con il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio. E, per
dirla con Margherita Cassano, “il metodo della falsificazione è il nucleo essenziale del
ragionamento del giudice e non è soltanto un problema etico ma anche giuridico, oggi
imposto dall’articolo 533 del codice di procedura penale”. Ed a chiudere la quadra
sull’essenzialità del metodo della falsificazione di concezione popperiana concorre l’obbli-
go di motivazione della sentenza che onera il giudice a non limitarsi alle massime di
comune esperienza ma a fornire, sotto il profilo dialogico, una motivazione rafforzata a
mezzo l’indicazione dei risultati acquisiti, dei criteri di valutazione della prova e
l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice non ritiene attendibili le prove contrarie.