L’attualità delle Leggi di Zaleuco
Quando la Legge è diventata uguale per tutti

di Giuseppe Pellegrino
(Estratto da “L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri – 28.10.2022)


La memoria storica non è il forte dei Calabresi. Ci fu un tempo in cui la Locride e Locri in
particola-re godevano del rispetto del Mondo che si specchiava nel Mediterraneo. E ciò
grazie soprattutto ad una particolare Legislazione che fu da esempio nel Mondo Ellenico e,
tutt’oggi, ha aspetti non superati. Le leggi lo-cresi furono le prime legge scritte; fino a
Zaleuco le leggi si tramandavano oralmente e la commisurazione delle pene era lasciata al
libero arbitrio dei Giudici, che si diceva fossero autognotoi (ossia avessero in sé stessi la
conoscenza). La novità rivoluzionaria delle “leggi scritte” fece esultare anche a Aristotele
che affermò che solo a Locri vi era certezza nelle leggi. Anche Tommaso Campanella,
secoli dopo ne rende omaggio, quando nella seconda parte dell’Aforisma 38 afferma: “Non
può esistere nessuna legge senza la pena. E dove la pena non è espressa, essa è arbitraria.
Alla base di tutta la Legislazione Locrese, ci fu Zaleuco: la cui etimologia significa Lucente
e la Za rafforzativa (Splendente). Nell’antichità Timeo mise in dubbio la sua reale esistenza
sostenendo che il suo nome significa “tutto lucente”. Cicerone, invece, sosteneva che non
importava se il Legislatore locrese si chiamasse Zaleuco o meno, ciò che importava era che
le sue leggi erano chiare, concrete ed uniche per quel tempo tanto da essere conosciute e
prese da spunto anche dai romani. La Legislazione Locrese era fondata sul principio del
Brokos-Contrapasso: Ed il male che hai fatto, ti sarà fatto. Così, quando non vi era una
norma idonea (Le leggi a Locri erano poche, e Aristotele lo ha detto a vanto della città),
veniva applicato il principio in questione, equiparabile alla moderna “analogia”.
A Locri non vi erano schiavi: nessun Locrese poteva avere schiavi e chi contravveniva alla
norma era punito con l’impiccagione. Due erano i principi su sui si basava il diritto Locrese:
il Mito di Minerva ed il principio secondo il quale era vietato intentare un giudizio se non
prima veniva intentata la conciliazione tra le parti. Zaleuco si dice che ebbe dalla Dea
Minerva l’ispirazione delle leggi di Locri. Quando Minerva presiedeva un collegio di tre
Giudici ed uno di essi si schierava per l’innocenza e l’altro per la colpevolezza, la Dea
sempre si schierava per la innocenza. Il principio non è dissimile da quello della
Costituzione americana, per la quale nessuno è colpevole se la sua colpevolezza non è
dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio. Anche a Locri, che supponeva un giudizio
collegiale (tre giudici), se non vi era certezza sulla colpevolezza, al di là di ogni ragionevole
dubbio, obbligatoria era l’assoluzione (rectius: il rigetto della domanda). In sostanza, veniva
applicata la regola “in dubbio pro-reo”, che troviamo anche nel nostro ordinamento.
Nel diritto Locrese, poi, era vietato procedere ad un giudizio se prima non veniva intentata
la conciliazione tra le parti. Si tratta di una norma di carattere processuale che ha il suo
presupposto in una nota di Diodoro Siculo, che sostiene che Zaleuco abbia legiferato che
“Nessuno cittadino per-seguiti con odio il suo nemico, ma che lo riguardi come uno con il
quale sarà tra poco a ritornare amico. Chi farà altrimenti dovrà tenersi per uomo di carattere
indomito”. Questa norma non può essere equiparata ad una vera e propria “mediazione” ma
quanto nell’obbligo di trovare una composizione tra posizione diverse prima di arrivare ad

una pronuncia. Il fondamento della norma stava nel fatto che ogni controversia giudiziaria
portava degli asti personali. La risoluzione consensuale della vertenza, quindi mirava, alla
pacificazione degli animi. Anche nel nostro ordinamento è prevista una norma che richiama
le Leggi di Zaleuco: l’art. 185 c.p.c. prevede infatti che “il giudice istruttore, in caso di
richiesta congiunta delle par-ti, fissa la comparizione delle medesime al fine di interrogarle
liberamente e di provocarne la conciliazione”.
A Locri, al tempo di Zaleuco, il tentativo di conciliazione era obbligatorio, mentre
nell’attuale nostro ordinamento è soggetto a due condizioni: la prima è che vi deve essere
una richiesta congiunta (in caso di richiesta congiunta delle parti); la seconda differenza era
data dal fatto che in ogni momento è possibile ritentare la conciliazione, men-tre presso i
Locresi, passata la fase iniziale, si procedeva al rito della celebrazione definitiva del
processo, che in genere durava un giorno.
Un’ulteriore differenza tra l’obbligo di conciliazione previsto a Locri e l’obbligo di
mediazione odierna sta nella ratio della norma. Oggi defatigatoria, poiché si cerca di
limitare il carico delle udienze e delle cause. Mentre a Locri la ratio stava, non nel tentativo
di evitare che ne cives ad arma ruant, ma nella pace sociale, che nel Proemio trova la sua
massima codifica-zione. E la cosa è del tutto ovvia. In una pòlis dove tutti si incontrano ogni
giorno, dove tutti partecipano all’Assemblea, dove tutti decidono tutto, avere dei motivi di
discordia poteva portare a conseguenze disastrose.