Peculato e truffa: due fattispecie delittuose a confronto

di Giuseppe Gentile
(Estratto da “L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri – 28.10.2022)


Il delitto di peculato (a differenza del reato comune di truffa che si realizza sia a mezzo
l’inganno altrui che induce la vittima a concorrere nella produzione del danno, sia come
reato contratto posto che, al di là della liceità negoziale, le modalità aggressive della
condotta altrui tendono a carpire artificiosamente il consenso della vittima attraverso una
sua induzione in errore) è un reato proprio e, in quanto tale, può essere commesso solamente
dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio. Tale qualifica non viene
certamente rivestita da qualsiasi pubblico dipendente ma solo da colui che svolge le
mansioni di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, qualifiche che si ricavano
dagli artt. 357 e 358 c.p., e a questi non potrà certamente essere equiparato anche colui che
svolga mansioni impiegatizie all’interno di un ufficio pubblico, in assenza di un for-male
atto amministrativo che gli attribuisca la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di
pubblico servizio, non essendo sufficiente che questi assuma tale qualifica per il solo fatto
di avere ricevuto, in modo informale, un incarico fiduciario, anche di rilievo, da un suo
superiore gerarchico. Enunciate le suddette premesse di carattere generale, funzionali al
nostro dire, è indubbio che, la nozione di “possesso”, richiamata dall’art. 314 c.p., richiede
che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbia il possesso del denaro altrui
perché affida-togli per ragione del suo ufficio o servizio e non perché tale affidamento
avvenga in conseguenza di una mera fiducia soggettiva riposta da un privato nei suoi
confronti, per ragioni di stima personale o di comodo dell’affidante. In simili casi, invero,
l’atto delittuoso del pubblico ufficiale violerà la fiducia personale, ma non l’interesse della

pubblica amministrazione tutelato con la disposizione dell’art. 314 c.p. Alla stessa stregua
non può aversi il pe-culato quando l’affidamento ha la sua causa originaria non già nella
competenza funzionale dell’ufficio, bensì in un atto abusivo, cioè contrario ad una norma
giuridica o ad istruzioni amministrative che vietano determinati atti al pubblico ufficiale o
all’incaricato di pubblico servizio, in modo da sottrarre del tutto tali atti alla competenza del
suo ufficio o servizio. Dunque, a titolo esemplificativo, a giudizio di chi scrive, non
commette il reato di peculato ma quello di truffa aggravata l’incaricato di pubblico ser-vizio
che si appropri abusivamente di una somma di denaro ricevuta a titolo di pagamento di
oneri concessori di natura amministrativa se il pagamento doveva essere fatto direttamente
dal privato al tesoriere dell’ente se la causa determinante l’affidamento è a lui imputabile a
titolo di dolo o all’affidante per scelta arbitraria o per ragioni di comodo. Da ciò consegue
che l’affidamento (quando non abbia luogo di diritto) dev’essere avvenuto, da parte
dell’affidante, con volontà libera e cosciente. Se, invece, la consegna della cosa mobile,
effettuata dall’affidante al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, è viziata
da violenza, errore, artifizi o raggiri viene a man-care l’affidamento per ragioni d’ufficio o
di servizio, che è presupposto necessario perché si configuri il delitto di peculato e quindi
potrà essere integrato il delitto di truffa aggravata. E, al riguardo, anche la giurisprudenza di
legittimità, sulla differenza tra il delitto di peculato e quello di truffa, aggravato dall’abuso
delle funzioni o violazione dei doveri inerenti a pubblico servizio, è costante nell’affermare
che l’elemento distintivo tra i due delitti va individuato con riferimento alle modalità del
possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropria-zione, ricorrendo il
peculato quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri
avendo-ne già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio
e ravvisandosi invece la truffa aggravata quando il soggetto attivo, non avendo tale
possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per
appropriarsi del bene. In altre parole, nel caso del peculato l’impiego di artifici o di raggiri è
finalizzato a permettere l’occultamento dell’appropria-zione già avvenuta, mediante una
interversione del possesso, mentre nel caso della truffa aggravata l’utilizzo degli artifici o
dei raggiri costituisce lo strumento per procurarsi il bene. Da quanto sin qui detto consegue
che si ha il delitto di peculato se il possesso del bene oggetto dell’illecita appropriazione
costituisce un antecedente della condotta illecita, mentre si è in presenza del delitto di truffa
se l’impossessamento della cosa si ottiene come effetto della condotta illecita. Ma la
differenza tra peculato e truffa aggravata non attiene solo al piano teorico poiché ha delle
notevoli conseguenze anche sul piano processuale. Difatti, con l’art. 1, co. 6, lett. a della l. 9
gennaio 2019, n. 3 – “legge spazza-corrotti” – il legislatore ha previsto che i reati contro la
Pubblica Amministrazione rientrino nel novero dei reati ostativi di cui all’art. 4bis
dell’Ordinamento Penitenziario sicché gli autori dei delitti ivi contemplati sono esclusi
dall’accesso alla quasi totalità dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla
detenzione, a meno che non abbiano collaborato con la giustizia ai sensi dell’art. 58 ter O.P.
o, in virtù delle innovazioni apportate dalla legge in commento, «a norma dell’art. 323 bis,
secondo comma, del codice penale». Si tratta di una scelta che evidenzia una tendenza
legislativa all’ampliamento degli automatismi preclusivi fondati su presunzioni assolute di
pericolosità sociale che richiederà senza dubbio l’intervento della giurisprudenza di
legittimità affinché si possa arri-vare ad una applicazione pratica della norma in modo
costituzionalmente orientato.