Principio di offensività: da limite per il legislatore a parametro interpretativo del
giudice

di Donato Iacopino
(Estratto da “L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri – 28.10.2022)

Guardando ai possibili sistemi penali, si può riscontrare che essi sono sostanzialmente due,
quello oggettivo e quello del fatto. Il diritto penale oggettivo s’incentra attorno alla condotta
ed al suo risultato, legati fra loro dal nesso di causalità, ed il reato viene attribuito sulla base
del mero riscontro di tale legame. Il diritto penale del fatto, invece, ruota attorno all’equa-
zione reato=fatto umano ed è sorretto da tre distinti e concorrenti principi, ovvero il
principio di materialità, di offensività e di soggettività. Esso, conseguentemente, ritiene
sanzionabili penalmente solamente quei fatti che si manifestano nel mondo esteriore, che
sono riconducibili al soggetto attivo e che sono idonei ad offendere o mette-re in pericolo il
bene o interesse giuridico tutelato dalla norma che si assume violata. Essendo anche quello
italiano un sistema di diritto penale del fatto, esso, al pari degli altri sistemi, è sorretto dai
suddetti tre principi, tuttavia qui ci occuperemo del solo principio di offensività, anche se in
maniera sommaria e finalizzata delle sue attuali applicazioni ed accezioni.
Il principio di offensività è quel principio che subordina la sanzione penale ad un’offesa al
bene giuridico tutelato da una norma penale. Offesa che può assumere sia la forma
dell’effettiva lesione sia quella dell’esposizione al pericolo, essendo assolutamente pacifico
(anche per la Corte Costituzionale) che è legittima e ragionevole la scelta del legislatore di
anticipare la soglia di punibilità alla mera messa in pericolo di quei beni giuridici ritenuti
particolarmente importanti (Reati di pericolo). Esso, oltre a costituire un limite generale ai
poteri del legislatore, opera anche qualora si verifichi che una con-dotta tipicizzata, ovvero
compiutamente prevista e de-scritta da una determinata norma penale, viene posta in essere
nella sua interezza ma, ciò nonostante, il bene giuridico non subisce alcun nocumento,
nemmeno potenzia-le. Consumazione della condotta senza danno per il ben giuridico che, di
primo acchito, sembrerebbe un paradosso. Tuttavia ciò si verifica più volte di quanto si è
propensi a ritenere ed è causato, paradossalmente, proprio dal principio di legalità che
(imponendo che al fatto preesista la norma) obbliga il legislatore a normativizzare per tipi di
condotte ovvero per clausole generali che, necessaria-mente, debbono anche essere chiare e
precise, ossia deb-bono descrivere con accuratezza il reato e le relative sanzioni. Essendo
questo il percorso che il principio di legalità impone al legislatore, può accadere che
all’interno di una clausola generale ricada anche una tipologia di condotta che, anche se
interamente consumata, non lede o mette in pericolo l’oggetto giuridico.

Passando poi e in maniera più dettagliata alla collocazione sistematica del principio di
offensività, vi è da riscontrare l’assoluta concordanza sul fatto che esso sia espressamente
previsto dal secondo comma dell’articolo 49 del c.p., disciplinante i due casi di reato
impossibile. Pur concordando tutti sulla tipizzazione di tale principio, non vi è però
unitarietà di vedute circa la sua valenza e la sua portata, sussistendo al tal proposito due
diverse e contrapposte concezioni. Secondo la prima di tali concezioni, il secondo comma
dell’articolo 49 del c.p. altro non sarebbe che un inutile doppione in negativo dell’articolo
56 del c.p.. Secondo costoro infatti l’espressione “inidoneità dell’azione”, con-tenuta in
detto comma, è assolutamente sovrapponibile all’espressione “l’azione non si compie”,
contenuta invece nell’articolo 56 c.p.. Sovrapponibilità avente quale conseguenza che se gli
atti risulteranno idonei, sulla scorta di un giudizio probabilistico ed ex ante, si avrà un
delitto tentato, se invece essi risulteranno inidonei ci si troverà in presenza di un reato
impossibile. Successivamente a tale prima e originaria concezione del principio di
offensività, precisamente intorno agli anni 70 dello scorso secolo, venne proposta una nuova
interpretazione del secondo comma dell’articolo 49 del c.p. da par-te dei fautori della
concezione realistica del reato, ovvero da parte di coloro che ritengono che l’offensività
vada intesa come una componente tipica del reato, al pari degli altri elementi costitutivi.
Secondo tale nuova concezione, l’articolo 49 non sarebbe assolutamente un doppione in
negativo del delitto tentato ma una norma di portata generale, introducente il principio di
necessaria offensività del reato. A confutazione della precedente tesi e a sostegno della
diversità delle due norme e della ritenuta portata generale dell’articolo 49, i propugnatori di
tale seconda concezione fecero ricorso principalmente a due argomentazioni supportanti la
diversità ed indipendenza delle due norme. Con la prima di dette due argomentazioni
costoro rimarcarono i diversi ambiti di operatività delle due norme, risultando l’articolo 49
applicabile indistintamente a tutti i reati, mentre l’articolo 56 ai soli delitti. Con la seconda
argomentazione, invece, fecero leva sui diversi presupposti applicativi delle due norme,
ovverosia sul fatto che l’articolo 56, facendo riferimento agli atti, presuppone che la
condotta si sia interrotta, mentre il secondo comma dell’articolo 49, riferendosi
all’inidoneità dell’azione, presuppone che tutta la condotta sia stata posta in essere, senza
che però il bene giuridico tutelato dalla norma penale subisca lesione alcuna. Lesione al
bene giuridico che secondo i fautori della concezione realistica andrebbe di volta in volta
accertata con giudizio ex post ed in concreto, non invece con giudizio ex ante e
probabilistico, per come invece ritengono i fautori della prima concezione. Tanto scritto in
merito alla codicizzazione del principio di offensività e passando ora al riscontro
dell’avvenuta sua costituzionalizzazione o meno, vi è immediatamente da evidenziare che
esso non trova collocazione alcuna nel Titolo I° della Carta Fondamentale, elencante i
principi ed i doveri dei cittadini, né trova collocazione diretta in altri Titoli della
Costituzione. Alla sua costituzionalizza-zione, infatti, si è giunti per via ermeneutica,
ovvero attraverso l’interpretazione degli articoli 25, comma 2°, 27, comma 3° e 13 della
Costituzione. In particolar modo la dottrina dominante ritiene che il principio di offensività
abbia avuto un riconoscimento implicito attraverso l’utilizzo del termine “fatto” al secondo
comma dell’articolo 25 della Costituzione, atteso che tale termine presuppone oltre ad una
condotta disubbidiente, un evento offensivo del bene giuridico tutelato.
Costituzionalizzazione del principio di offensività che sarebbe ulteriormente confermato
dalla presenza dell’articolo 13 – tipico delle Costituzioni personalistiche come la nostra – il
quale consente la limitazione dei diritti costituzionalmente garantiti solamente per la tutela

di altri diritti parimenti garantiti, nonché dalla funzione rieducativa della pena, prevista dal
terzo comma dell’articolo 27, la quale non avrebbe ragion di esistere in assenza del danno.
Nel mondo accademico e negli ambiti giudiziari, subito dopo il riscontro della
costituzionalizzazione del principio di offensività – considerato che tale principio funge
(anche) da limite al potere legislativo – sorse il problema della determinazione di quali beni
o interessi potessero ottenere la tutela penale. Su tale problematica i fautori della concezione
realistica ritennero, e ancora ritengono, che la tutela penale andrebbe riservata
esclusivamente ai beni o interessi costituzionalmente significativi. Essendo tale prospettata
soluzione del problema troppo restrittiva (Essa infatti esclude la tutela penale ai beni
giuridici emergenti e non rende possibile il contrasto di nuovi fenomeni criminali) ad essa si
preferì quella elaborata dalla Corte Costituzionale, secondo la quale sono penalmente
tutelabili anche quei beni che non risultino incompatibili con la Costituzione. Ed è proprio
alla Corte Costituzionale che si deve anche l’attuale vitalità operativa del principio di
offensività. Tradizionalmente la giurisprudenza di legittimità, infatti, si è poco interessata a
tale principio, atteso che esso veni-va inteso esclusivamente come un limite rivolto al solo
legislatore, quindi afferente al momento della tipizzazione della norma. Le cose però
mutarono profondamente con l’avvento del nuovo millennio, allorquando la Corte
Costituzionale introdusse nel panorama giuridico italiano i concetti di offensività in astratto
ed offensività in concreto. Intendendo col primo di tali concetti quella che è la funzione
tradizionalmente riconosciuta al principio di offensività, ovvero quella di limite alle scelte
di politica criminale. Con il concetto di offensività in concreto, in-vece, si attribuisce a tale
principio una nuova funzione, ovverosia quella di criterio interpretativo cui deve attenersi il
giudice e comportante, per lui, l’obbligo di accertare se la condotta posta in essere nella
fattispecie sotto-posta al suo giudizio, benché tipizzata, abbia o meno leso o posto in
pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma. Concetto quello di pericolosità in concreto a
cui effettivamente si deve il nuovo interessamento al principio di offensività da parte della
giurisprudenza di legittimità, la quale ad esempio: nel 2004 ha escluso che l’asportazione
per fini ludici di piccole quantità di sabbia dal lido del mare o dall’arenile di un fiume non
integrano il reato di furto aggravato dall’articolo 625 n. 7, attesa l’inidoneità della condotta
a ledere il bene giuridico tutelato; nel 2007, ha escluso che il divieto per gli operai di
lavorare nella zona d’azione di un escavatore, punito dall’articolo 118, comma 3°, del D.Lgs
81/2008, operi anche quando il mezzo e spento. Tuttavia si evidenzia, per completezza,
anche il fatto che la giurisprudenza, dopo l’iniziale piena adesione al concetto di pericolosità
in concreto coniato dalla Consulta, attualmente preferisce affrontare le problematiche
connesse al rispetto del principio di offensività guardando non soltanto al ben giuridico
protetto ma anche alla ratio legis, escludendo la punibilità nei casi in cui (Pur potendosi
eventualmente configurare anche la potenziale offesa al bene giuridico) la condotta posta in
essere non contra-sta con le finalità perseguite dal legislatore, quindi risulta atipica. Tanto si
evince, ad esempio, dalla lettura di una pronuncia delle Sezioni Unite del 2019, in materia di
coltivazione di piantagione di stupefacenti, con la quale il massimo consesso, mutando un
suo precedente orientamento, ha escluso la punibilità di una piantagione domestica non per
assenza del principio drogante, ma esclusivamente perché dalle modalità dei fatti e dalle
circostanze emergeva che la sostanza prodotta non era destinata al commercio. Comunque e
concludendo questo breve excursus su un argomento che andrebbe certamente meglio
approfondito si aggiunge che, al di là dei possibili futuri approdi applicativi del principio di
offensività, è certamente un dato positivo e testimonianza di sensibilità e civiltà giuridica, il

fatto che oggi ci si soffermi maggiormente sul rispetto di tale principio, tanto nel momento
della legiferazione, tanto e ancor di più nel momento applicativo delle leggi penali.